Danno professionale

L'art. 2103 del codice civile stabilisce che il lavoratore ha il diritto di svolgere le mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte.
Vale a dire che il lavoratore non può essere adibito a mansioni inferiori e può chiedere al Giudice del lavoro l’accertamento della dequalificazione subita e la riassegnazione alle mansioni corrispondenti alla professionalità posseduta.

Per la giurisprudenza, un demansionamento  protratto nel tempo incide sull’immagine professionale del lavoratore, ne riduce le possibilità di ricollocazione nel mercato del lavoro, e dunque produce un danno.
In molte sentenze, al lavoratore, è stato riconosciuto un risarcimento pari alla metà delle retribuzioni percepite per tutta la durata della dequalificazione.
Ma il demansionamento può comportare anche una sofferenza psicofisica che può aver prodotto danni alla salute del dipendente. Se in giudizio viene accertato il nesso causale tra il demansionamento e la malattia del lavoratore, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno biologico.

Resta discusso se la dequalificazione implica senza ulteriore prova il danno professionale ovvero se quest'ultimo danno deve formare oggetto di prova rigorosa, la questione non è di poco conto.

La pronuncia delle Sezioni Unite, n. 6572/2006, forma oggetto di interpretazioni diametralmente opposte in punto di prova rigorosa o danno professionale implicito nel demansionamento.

L'interpretazione favorevole alla prova rigorosa del danno professionale però sarebbe in contrasto con le decisioni della giurisprudenza di merito e della Sezione lavoro della medesima Suprema Corte, con le pronunce successive a quella della Suprema Corte, secondo cui l'accertamento della dequalificazione implica da sé il danno professionale. Del resto, se così non fosse, il lavoratore sarebbe esposto ai capricci del datore di lavoro il quale, qualora dopo una lunga teoria di processi fosse accertato che ha demansionato un dipendente, uscirebbe indenne dalla sconfitta con l'unico "onere" di riassegnare al lavoratore le mansioni alle quali ha diritto, con buona pace della professionalità acquisita dal lavoratore con studio e lavoro in lunghi anni di impegno. Se per concludere tenessimo conto che è esclusa la coercibilità degli obblighi di fare, la sentenza favorevole al lavoratore rischierebbe di non avere alcun effetto pratico.

“(...) la forte valenza esistenziale del rapporto di lavoro, per cui allo scambio di prestazione si aggiunge il diretto coinvolgimento del lavoratore come persona (...).” La giurisprudenza della S.C., successiva alle S. U. in discorso, ha confermato che la dequalificazione implica tout court il danno professionale.

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